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sabato 21 marzo 2015

Il pullover che hai asciugato tu

Mi sembra impossibile che, per fare colazione in una città come Londra così strapiena di possibilità di mangiare, si debba fare una coda che si snoda fin sul marciapiede fuori dal locale.
E' quello che accade davanti al Breakfast Club di Soho dove Enrico voleva portarci stamattina.

E' riuscito ad arrivare abbastanza presto a casa nostra, vincendo la tentazione di recuperare nel suo letto qualche ora di sonno persa nelle sue maratone in ufficio, e poi, una volta arrivato da noi, quasi capitola sulla morbidezza del nostro letto affacciato sul centro di questo mondo.

A fare la coda per il tavolo non ci penso neanche un momento e, dopo avere dribblato il consiglio del nostro padrone di casa che ci sembra un po' troppo triste (da Bruno, Wardour Street, magari ci passeremo domani) entriamo da Bill's in Brewer Street.

L'interno è un sandwich (non un tramezzino) tra un soffitto post-industriale di condotte d'aria satinate ed un pavimento da rifugio di montagna con le assi di legno grezzo e caldo.
In mezzo, i tavoli sbiancati sono conditi dalla luce calda di paralumi pendenti che si accompagnano ad enormi grappoli di peperoncino.


L'effetto finale è molto soft ed accogliente. Non ci resta che manifestare tutta la nostra comprensione per la gente rimasta in coda al Breakfast Club strafogandoci di succhi, eggs benedicts con salmone affumicato, pancake con frutta e sciroppo d'acero e caffè nero americano.




Prossima tappa sarà la casa di Enrico, anzi la quasi reggia di Enrico, visto che si trova praticamente a 50 metri in linea d'aria da Buckingham Palace.
Ci arriviamo attraversando St. James Park, strapieno di gente e di uccelli di tutti i tipi. Ci sono persino i pellicani, eredi ancora presenti di un dono del Re di Russia nel lontano 1600.
Farsi largo tra la massa di gente, per lo più spagnoli, che sta sfollando dopo il cambio della guardia è quasi un'impresa.


La casa di Enrico, pardon, la reggia, è veramente molto bella.
Appena rimodernata, è arredata molto bene e, tenuto conto che è abitata da 4 ragazzi che non hanno nemmeno il tempo di vivere, sembra proprio tenuta bene.

Questo vivere senza una vera e propria routine domestica (son tutti e quattro qui che lavorano come matti e non sono mai a casa) non permette certo di allenare qualità da casalinga.
E' così che Enrico ci mostra come è uscito il suo maglione preferito, comprato in gennaio, dopo un inopportuno incontro con la asciugatrice.


Sempre meglio di come è ridotto quello che indossa oggi, dopo lo scontro... con il caffè del Bill's Restaurant.
Quando, osservandolo stravaccato sulla poltrona, me ne accorgo, scoppio a ridere pensando a come, con Luca, lo prendiamo in giro per le sue immancabili patacche. Per chiarire subito, non che Luca ed io siamo meglio, anzi. Ma oggi è il turno di Re Enrico!



La nostra giornata si divide qui: lui va in ufficio, Eli ed io verso Portobello.
Ci salutiamo sulle opposte banchine della metro fotografandoci a vicenda.

Abbiamo appuntamento stasera per una sessione di test, carnivora stavolta, dei ristoranti londinesi.


A Portobello Road un fiume di gente si snoda tra i negozi e le bancarelle lungo la strada.
In prevalenza espongono chincaglieria di nessun pregio o oggetti di modernariato senza valore, come vecchie macchine fotografiche che vanno dalle  Polaroid anni '70 (chissà dove trovi più le loro pellicole) alle russe Practika o Zenith. Non potendo apprezzare i  banchi che vendono improbabili pellicce o ridicoli vestiti usati, la cosa più bella è invece osservare la stravagante varietà dei venditori. Un peccato non avere con me il teleobiettivo. Ne sarebbe venuto fuori un campionario interessante.
Fanno eccezione alcuni stand che vendono giornali o dischi vintage ed un paio di posti dove vendono stampe antiche (abbocchiamo per 24 pound con una stampa del nord Italia del 1824) ed il banco di una ragazza che espone le sue foto di murales fatte a Londra, Brighton e Parigi. Anche qui abbocchiamo e ci portiamo a casa una bella foto del murale "Kissing Coppers" fatta da Bansky a Brighton.



Dopo avercela venduta (per la verità non solo quella) la ragazza, Audrey Nahmias (www.audreynahmias.com) ci rivela dove trovare dei murales interessanti a Londra. Ecco che si delinea chiara un'altra meta per domani. Chissà se riusciremo a battere il record dei quasi 27.000 passi fatti ieri ed oggi!

Per non lasciare la giornata senza un vero tocco culturale spendiamo le ultime energie al British Museum.
Prima però, una breve sosta in uno Starbucks lì vicino ci permette di scoprire il rifugio primaverile di Babbo Natale. Sdraiato, pancia all'aria, su una poltroncina vicino alla vetrina, il vecchio donaiolo (con una n sola) si riposa mimetizzandosi tra gli hipster che passano le giornate qui sfruttando il wifi gratuito.
La foto di babbo natale è sfuocata perché è fatta con l'iPhone al visore della mia reflex (dalla quale non riesco a scaricare le foto)

Al British, voliamo leggiadri tra le sale piene di gente e di cimeli straordinari. Ancor di più delle mummie, i bassorilievi degli Assiri  riescono a darci la scossa per tenerci in piedi. Sono uno spettacolo di precisione e, proprio i dettagli che, in parte, mantengono ancora le tracce dei colori originali, sono la cosa che ci rimane più impressa.


Alla fine, dopo averla inutilmente cercata dappertutto, abbiamo trovato anche la Regina del Museo: la stele di Rosetta. Era lì al piano terra, ma, coperta dalla folla, l'avevamo clamorosamente mancata.
Il colore della pietra assieme alla stranezza delle scritte nei tre alfabeti, hanno un che di extraterrestre che ti lascia quasi senza fiato. 
Un bel colpo di grazia, in giornate come questa, dove di fiato ne rimane veramente poco... 



P.S.: come ho detto, non ho modo di scaricare le foto fatte con la Canon e, siccome, babbo natale l'ho fotografato solo con quella, pur di farvelo vedere ve l'ho spiattellato da una fotografia fatta con l'iPhone al visore della reflex.

P.S.2:il titolo del post (per i giovani che non lo possono sapere) scimmiotta l'incipit di una canzone degli anni '60 cantata da un ben presto dimenticato Gianni Meccia.






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