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domenica 14 giugno 2015

Tre minuti con...

La radio sempre accesa, a qualsiasi ora del giorno, era una costante  a casa mia.
Non certo sintonizzata sulla modulazione di frequenza delle radio libere che, a quell'epoca, primi anni '70, iniziavano a diffondersi anche nell'aria sonnolenta della nostra città di provincia. 
Radio Verona, Radio Adige, Radio Popolare, Radio Tartaro, Radio Nova stavano muovendo allora i primi passi di un percorso che, per alcune di esse, penso duri ancora adesso.


Nella cucina di casa mia comandavano le Onde Medie e l'unica stazione che si poteva ascoltare era quella ufficiale della RAI. All'epoca penso si chiamasse Primo Programma, oggi Radiouno.
Il Secondo Programma, Radiodue, se c'era, era già troppo di sinistra per il gusto dei miei.

Una mattina - frequentavo la terza media ed era quindi il 1973 o il 1974 - stavo uscendo di casa dopo aver fatto colazione (caffellatte e pane del giorno prima). 
In sottofondo era appena terminata la voce monotona del radiogiornale che, come spesso in quel periodo, avrà recitato un rosario  di gambizzazioni e rivendicazioni delle Brigate Rosse, quando mi bloccai, rapito dai versi di una canzone.

Subito dopo il radiogiornale andava infatti in onda una trasmissione che si chiamava "Tre minuti con...". 
Una voce femminile, dolce e suadente, introduceva una canzone di uno degli artisti in voga a quel tempo.

Quel giorno, toccava ad un cantante con la voce profonda e la erre moscia.

Un cantante che non avevo mai sentito né conosciuto.

Un tono ed una cadenza mai ascoltati né nelle Canzonissime del sabato sera né, tanto meno, nei festival di Sanremo registrati di straforo col registratore a bobine "Geloso".

Mi rapì la melodia. Per niente sdolcinata, al contrario,  quasi matematicamente ripetitiva.
Mi colpirono le parole.  Non riuscii ad afferrarle completamente, ma mi entrarono dentro con la forza del bacio di un'adolescente.

Mi restarono impresse alcune frasi  che diventarono poi la base dell'ossessione della mia ricerca. 
Si, perché quella volta persi l'attimo in cui la dolce voce scandiva il nome del cantante.

La strofa che mi immobilizzò fu: "si è spenta la fontana, si è ossidata la campana, perché adesso ridi al gioco degli amanti?".

Una frase che, da sola, non voleva dire niente, ma che mi trasmise l'emozione profonda, il contrasto forte, fatto solo di immagini,  tra l'immobilità di un meccanismo rotto dal tempo e la vitalità di un gioco d'amore. 

Chi se ne intende, sa che quella canzone è "Un altro giorno è andato" e quella erre moscia è del suo autore, Francesco Guccini che, proprio oggi, compie 75 anni.

Tanti Auguri Francesco!

Da quel giorno hai accompagnato la maggior parte delle mie emozioni con la discrezione di un fratello maggiore che mi osserva da lontano.

Passò un po' di tempo, da quella assonnata mattina,  prima che scoprissi di chi fossero le parole e la voce che mi avevano colpito. Non mi potevano certo aiutare i miei genitori che, di cantautori, non sapevano nulla.

Lo capii un anno dopo, forse nel '75, e scoprii allora il suo nome e le sue, già allora, tante canzoni, grazie ad un compagno di seconda liceo che mi prestò la cassetta di "Radici". 

Da allora, per lungo tempo, fu per me il solo vero "ascolto". Di certo l'unico cantautore di cui, appena possibile, seguivo i concerti (a parte un tradimento per uno spettacolare Banana Republic nel '79 allo Stadio Bentegodi con Dalla, De Gregori, Rosalino).

l'ho visto in condizioni disperate, come nel 1976 (o 77), al Teatro Laboratorio, solo da fuori che dentro non ci si stava. Oppure nel 1977 (o 78) a Sant'Ambrogio, in un capannone diviso a metà per il lungo da un muraglione. Tra l'infastidito ed il divertito, lui giocava a nascondino con la metà del pubblico coperta dal muro, accompagnato solo dal suo fedele bottiglione di vino.

L'ho visto da fresco innamorato, nel 1980 a Nogara, in un concerto bellissimo in cui lui, che cominciava ad essere famoso, era accompagnato dalla band che lo ha seguito fino all'ultimo e giocava con un unico effetto speciale, illuminando da dietro il batterista, Ellade Bandini, mettendo in risalto con il fascio di luce, le sue orecchie a sventola.

L'ho ascoltato talmente tanto che anche mio fratello che all'inizio lo odiava, si è lasciato scoprire, anni dopo suo appassionato fan.

L'ho cantato talmente tanto che Enrico è cresciuto pensando che la doccia e "La Locomotiva" fossero due cose che dovevano durare lo stesso tempo.

L'ho seguito anche  con Luca,  nel suo penultimo concerto in quella che è stata la sua ultima performance completa dal vivo dato che, il giorno dopo a Bologna si è sentito male e non è riuscito a finire la sua solita canzone di chiusura.
Quel concerto, a Jesolo, nel novembre del 2011, l'ho registrato di straforo tutto (con la cinepresa, non con il "Geloso"...) e lo conservo come una delle cose più belle e preziose.

Fa effetto pensare a questi quarant'anni assieme a lui.

Sembrano tanti, e lo sono realmente, ma quello che mi ha regalato con le sue canzoni (non sono un amante dei suoi libri) vale ancora molto di più.







    




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