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martedì 29 dicembre 2015

Scopri le differenze

Per salire paghi “solo” (anche se molto) con la fatica e non 54 euro di abbonamento giornaliero.

Sulle “piste” non trovi nessuno e non centinaia di imbranati che ti cadono davanti o di coglioni che ti sfrecciano vicino scambiandoti per un paletto.

Quella rara volta che incroci qualcuno, questi ti saluta gentilmente e non ti manda a cagare perché gli sei passato a fianco.

Se ti fermi, mezzo morto dalla fatica, non ti devi guardare alle spalle per evitare di essere travolto dal coglione o dall’imbranato di prima.

Quando sei stanco puoi sederti sulle pietre senza il bisogno di ricalcolare un baricentro dissestato dal peso della tortura primordiale con la forma di scarponi.

Se ti scappa la pipì non devi mandare a quel paese il genio di architetto che, in tutti i rifugi di questo mondo, ha protetto i cessi con percorsi militari che prevedono almeno due rampe di scale e metri e metri di pavimenti scivolosi.

Quando osservi un panorama non hai l’ansia di farti superare dal milione dei soliti imbranati e/o coglioni, ma te lo puoi godere tutto, azzardando anche un pirotecnico riconoscimento delle cime all’orizzonte: Il Civetta, il Pelmo, L’Antelao…

Le cunette di roccia vera sono insidiose, ma non tradiscono come quelle di neve finta.

E poi, il silenzio dell’essere soli, in questa stagione fuori scala, accompagnati solo dalla musica dei versi delle cornacchie è tutta un’altra cosa rispetto al fastidio dei richiami scomposti e un po’ burini di altro genere di cornacchie in tuta sintetica e multicolore.

Modulato dal ritmo di un respiro affannato, questo silenzio ti ripaga con pensieri dolci e senza forma che accompagnano soffici la fatica della salita e i contraccolpi della discesa.

Insomma, sull’onda di queste differenze la mia giornata di passeggio in solitaria è volata via leggera e luminosa.

Anche il legno nelle gambe e l'inciampo del respiro hanno stasera un sapore diverso, meno traumatico, più naturale.

Stamattina ho scelto di ripercorrere, a ritroso, un breve tratto dell’Altavia n. 2 fatta nel 2012 con Luca.

Dal Passo Gardena salgo su fino ad un primo passo protetto da una minacciosa iguana di roccia.


Inerpico su un costone sgretolato del grande CIR e poi, attraversando un avvallamento pieno di forme misteriose arranco in salita fino alla Forcella CIR.

La naturalezza di questa zona, sia pur così insolitamente verde in questa stagione, umilia senza scampo l'artificioso innevamento del panorama qui attorno. 




Come tutte le forcelle poi, anche questa sembra sempre lì ed invece non arriva mai. Per di più, in questo caso, nemmeno arrivato alla forcella posso dire di aver finito. Per vedere il Puez devo superare un altro avvallamento attraversando un sentiero ghiacciato e all'ombra ed arrancare su fino alla Forcella Crespena.



La vista da lì sopra evoca paesaggi lunari e primitivi.
Anche il rifugio si distingue a fatica e si perde in questa distesa di rocce nude e dissestate.



Una lunga sosta in solitario sulla forcella facilita la strana coincidenza di un piacevole incontro.
"Vinco" due simpatiche compagne di viaggio per il ritorno con cui mangio qualcosa al Rifugio Jimmy raggiunto poi anche da Luca.

La scorta di benessere accumulata nel lungo tratto assolato e silenzioso copre abbondantemente i disagi del ritorno alla colorata civiltà degli scarponi.

Stasera, ultima cena in questa casa.

Un sacco di risate con Luca accompagnano il lebercase e le verdure. 

Stimolato dalla riesumazione fortuita delle gesta di Gasù - il fratello cattivo di Gesù - Luca ride di gusto dimenticando per un attimo la stanchezza delle sue gambe e la fluidodinamica dei suoi studi.
Personaggio inventato assieme a Cassero, Gasù ingravidava le vergini nel sonno facendo perdere poi ogni traccia, rubava il vino agli osti rimpiazzandolo con l’acqua ed altre simili e maldestre imitazioni delle gesta del più famoso fratello.

E’ saltato fuori, un po’ ignobilmente, a seguito del commento su un messaggio che l’Imam di Verona ha mandato a Luca invitandolo ad un ecumenico festeggiamento, assieme al Natale,  di un profeta islamico nato nello stesso giorno.

Il diavolo e l’acquasanta insomma.


Con tutto il rispetto per le religioni e soprattutto per gli ammirevoli e pacifici tentativi di ecumenismo, ognuno è però libero di fare satira casareccia come crede…

lunedì 28 dicembre 2015

Senza Neve

La mancanza di Enrico si avverte subito. 
Senza i suoi movimenti a scatto, la sua sciarpetta cittadina,le sue sparate cosmiche su qualunque argomento ed i suoi “Vaccio…” affettuosamente rivolti al fratellino non più bambino, questa vacanza non è più la stessa.


Enrico può parlare di adolescenza ormai perduta o di derivati della Lehman Brothers, ma l’entusiasmo, il vigore, la luce negli occhi è sempre quella di quando era un bambino.

Con Luca ridiamo a crepapelle dei suoi messaggi vocali lasciati su whatsapp agli amici e alla morosa.
Si è chiuso fuori sul balcone, in maglietta con le maniche corte incurante del freddo (non gelido) di questa estate che di nome fa inverno.
Cinque minuti di sbrodolamento lessicale, in inglese e senza una pausa. 
Senza un respiro.
Ci immaginiamo le risate di chi preme il triangolino per ascoltarlo.
Già dopo la prima frase avrà perso il segno sovrastando con il singhiozzo il resto del racconto.

Tre giorni assieme Enrico, Luca ed io sulla neve, anzi sull’erba dell’alta Val Badia, riposizionano magicamente il cursore su quella vivace armonia che si stabilisce fra noi tre e che non assaporavamo dai giorni dei iTreDonisiInAustralia.

Un’armonia fatta di equilibri instabili, sempre sull’orlo della risata tra di noi e della voglia di raccontare a chi ci manca quello che succede. I gruppi whatsapp aiutano anche in questo...

Oggi Enrico ci è mancato anche per le sue memorabili capacità di orientamento.

Io, dopo quindici anni di vacanze invernali in Val Badia, non distinguo la Ciampinoi dalla Dantercepies (sono due funivie).

Figuriamoci se riesco a tornare a La Villa, dove siamo ora, che è anche un po’ fuori dai percorsi più battuti.

Enrico invece, non so come fa, riesce sempre a capire a quale ennesima seggiovia di collegamento puntare e quale percorso, tortuoso a piacere, completare per tornare a casa.
Mi stupisce sempre, prevedendo senza indugi la giusta sequenza di risalite.

Un’invidia…

Poi, è vero, il primo giorno, la brusca calata del tramonto ci ha colto all’improvviso ed impedito di completare il giro costringendoci a chiamare un taxi. Ma è un piccolo svarione non legato al calcolo della traiettoria, ma a quello dei tempi.

Per fortuna però che Luca è la giusta via di mezzo tra la mia incapacità e la maestria di Enrico ed oggi è riuscito comunque nell’impresa di riportarmi a casa sano e salvo.

E, a proposito di sano e salvo, devo festeggiare un avvenimento straordinario: dopo anni di incidenti (sempre leggeri, ma comunque fastidiosi) quest’anno posso celebrare una assoluta assenza di cadute o danni di qualsiasi tipo. 
Penso sia merito della prudenza che ho messo in atto ascoltando un po’ meglio i sensori di fatica posizionati sui muscoli delle cosce e delle ginocchia: una breve sosta quando la lancetta arriva sul rosso ed il controllo delle cunette sulla neve artificiale - al pomeriggio veramente in forma impresentabile - è diventato più preciso, completo e, finalmente, sicuro.

Per il soggiorno quest’anno niente albergo, ma un semplice monolocale in un enorme e nuovissimo chalet: lo Chalet Soredl a La Villa.




La padrona di casa ha il gusto degli addobbi natalizi e dei profumi aromatici. Il corrimano delle scale, ad esempio, è intervallato con enormi fiocchi di raso dorato e, su ogni appoggio della minuscola stanza, abbiamo trovato gingilli dal nordico sapore oltre a decine di cioccolatini di  ogni tipo.

Devo dire che questa scelta e la libertà ad essa associata, non mi hanno fatto mai rimpiangere l’albergo, anche se lo spignattamento, le pulizie e tutto il resto sono prevalentemente a carico mio.

La desolazione, insolita e profonda, la lasciano invece queste montagne completamente verdi e prive di neve.

L’impacchettamento coi nastri bianchi delle piste è deprimente come un bel regalo incartato male.



La sensazione è che questa rivoluzione della natura abbia spento le consuete inclinazioni all’arroganza dei turisti invernali. 
L’impressione è che siano tutti un po’ meno arrabbiati, un po’ più gentili, anche un po’ più silenziosi.
Nonostante la miriade di persone sulle piste (molte delle quali veri e propri pericoli pubblici)  è come se stessimo tutti assieme espiando la colpa di aver contribuito a questo ormai innegabile dissesto climatico che sembra sconvolgere, molto prima delle previsioni, le nostre opulente abitudini.
Sarà perché i russi, solitamente i più cafoni, non sono ancora arrivati, ma, nei toni e negli atteggiamenti, di fronte a queste distese verdi attraversate da camminatori in maglietta estiva sembra di cogliere il senso di un pentimento che speriamo non sia troppo tardivo.

O forse sono solo pippe che mi faccio io, confondendo le stagioni nel decifrare i panorami.

Domani ho deciso che cammino. Non scio. Voglio lasciare immacolata la mia lista di cadute e percorrere in questo strano clima qualche sentiero disegnato per l’estate.

Voglio vedere se l’impressione sarà la stessa o se cambierò idea lontano dal fruscio delle lamine e dal rollio delle seggiovie.








mercoledì 24 giugno 2015

Irresistibili



L'occasione di avere Enrico a Milano e di potergli rubare un'ora - quella dalle 9 alle 10 di sera! - per cenare assieme è troppo ghiotta per non approfittarne e parlare almeno un po' della serata di sabato scorso (A vent'anni si è stupidi davvero)

Condividiamo subito che è riuscita perfettamente. 

Con un gesto dolce e gentile accompagna il suo pensiero riconoscente al mio sforzo. Il suo omaggio alla mia passione, un po' contagiosa e profusa senza risparmio nella preparazione della festa, vale più di ogni altra cosa. 

Il suo sguardo, così infantile nonostante la cravatta ed il completo scuro, cancella senza fatica la leggera delusione per i pochi, anzi pochissimi (2 o 3) che non c'erano senza un motivo vero. 

Poi, spinge un po' sulle differenze tra noi e loro, tra il fatto che il nostro film è un quadro d'autore unico a confronto con i milioni di selfie e timelapse omologati del suo (ma anche mio attuale) tempo.

Osserva, con un velo di tristezza, che sarà difficile, se non impossibile per lui organizzare qualcosa di simile tra quarant'anni con amici certamente molto lontani allora e forse non così vicini adesso. 

E quindi mi conferma ciò che ho/abbiamo pensato quella sera: un po' grassi ed un po' pelati, ma siamo stati e siamo tuttora irresistibili.

Proprio così penso che ci siamo presentati agli occhi dei nostri figli.

Una serata straordinaria per chi ha deciso di superare l'imbarazzo di tanti anni di lontananza ed ha trascinato mogli e prole alla festa organizzata dalla fantomatica Associazione "Questa Casa non è un albergo" per la altrettanto millantata Prima Visione Assoluta del Film Casablanca (1978).



Straordinaria per la forza, un po' seria ed un po' goliardica,  che ha unito d'incanto due generazioni nella reciproca  curiosità  di assaporarsi coetanei per qualche istante.



Mille volte più emozionanti che guardare un vecchio album di foto assieme, le risate hanno annullato ogni differenza di età e trasportato tutti, magicamente, in un asilo di bimbi felici. 




Qualcuno, tra i bimbi veri, mi ha sussurrato con riconoscenza un ringraziamento ed una commozione.
Qualcun altro, tra i finti vecchi, mi ha ricordato come fossimo, a quel tempo, davvero irresistibili.

L'armonia tra le persone, così diverse, ma così, in fondo in fondo, unite, ha permeato la serata come se ci fossimo visti in tutti questi giorni in cui nemmeno ci siamo sfiorati.

Insomma, magari io che c'ho messo un sacco di amore, passione e...siracche  perché tutto riuscisse al meglio - dai manifesti al montaggio, dalle premiazioni alla musica - ho un metro un po' starato e vedo tutto troppo bello, ma il sapore che la serata mi ha lasciato è un gusto dolce e rilassante. 
In gran parte, questo è dovuto alla gioia e al divertimento, sano, vero, ricco di amore, che ho visto negli occhi dei nostri figli.

Una conferma che, quel gruppo di persone che 37 anni fa ha ideato e vissuto senza patemi un divertimento così sano, scanzonato e spontaneo, è riuscito a trasmettere ai figli lo stesso senso di gioia gratuita e naturale. 

Sono consapevole che le cose veramente belle sono uniche ed irripetibili e quindi non azzardo frasi di circostanza. 

Mi basta ed avanza questa unica esperienza che, la prossima, sarà diversa e, magari, altrettanto bella...   
















martedì 16 giugno 2015

Notte prima degli esami

Giusto per non dare l'idea (completamente fondata) che mi piaccia solo romanzare sul passato neanche fossi un vecchio nostalgico che vive più di ricordi che di progetti, stasera scombino le carte e parlo solo di futuro, progetti ed aspettative.



Proprio alla vigilia della prima prova (che non è una simulazione, ma l'esame vero) della maturità di Luca e dopo essermi sciroppato un ritorno( e andata, domani) da (a) Milano in mezzo alla settimana per permettermi l'emozione irripetibile ed indimenticabile di ascoltare la canzone di Venditti nella sera giusta ed assieme a lui, ho deciso che spendo due parole per legare questo momento al progetto di quest'estate.

Vada come vada l'esame di Luca, la sua decisione di andare a Roma a frequentare Medicina in Inglese, non cambierà.
Un progetto lungo e faticoso della cui complessità, lui per primo, è ancora poco consapevole. Vale la pena però assecondare senza alcuna esitazione tutto il suo entusiasmo nel voltare questa pagina, affrontando assieme tutti gli ostacoli e vivendo un po', attraverso lui, questo balzo nel futuro di una nuova vita.

Poi, per fortuna, c'è ancora un'estate di mezzo.

E allora, tanto vale festeggiare questa che sarà probabilmente l'ultima stagione estiva di vacanze fatte assieme, con un viaggio memorabile nella "nostra" Australia.

Mantengo la promessa fatta ad Elisabetta di tornare alla magia di Uluru assieme a lei, e partiremo tutti quanti (senza Enrico...) alla scoperta dell'inverno australe.

Il giro sarà un po' diverso da quello de iTreDonisiInAustralia (www.iTreDonisiInAustralia.blogspot.com)ma egualmente intrigante. 

Atterreremo a Darwin e poi da lì a Cairns e giù, giù, alla caccia di balene, altre bellezze naturali e memorabili surfate... fino a Melbourne dove stavolta non mancherò di visitare la mia zia ed i miei parenti che si trasferirono laggiù, più di 40 anni fa.

Ecco, un pizzico di nostalgia del passato c'è sempre, ma ora prevale la frizzante aspettativa di una stagione tutta nuova e da scoprire.

Dimenticavo, in bocca al lupo per domani Luca!






domenica 14 giugno 2015

Tre minuti con...

La radio sempre accesa, a qualsiasi ora del giorno, era una costante  a casa mia.
Non certo sintonizzata sulla modulazione di frequenza delle radio libere che, a quell'epoca, primi anni '70, iniziavano a diffondersi anche nell'aria sonnolenta della nostra città di provincia. 
Radio Verona, Radio Adige, Radio Popolare, Radio Tartaro, Radio Nova stavano muovendo allora i primi passi di un percorso che, per alcune di esse, penso duri ancora adesso.


Nella cucina di casa mia comandavano le Onde Medie e l'unica stazione che si poteva ascoltare era quella ufficiale della RAI. All'epoca penso si chiamasse Primo Programma, oggi Radiouno.
Il Secondo Programma, Radiodue, se c'era, era già troppo di sinistra per il gusto dei miei.

Una mattina - frequentavo la terza media ed era quindi il 1973 o il 1974 - stavo uscendo di casa dopo aver fatto colazione (caffellatte e pane del giorno prima). 
In sottofondo era appena terminata la voce monotona del radiogiornale che, come spesso in quel periodo, avrà recitato un rosario  di gambizzazioni e rivendicazioni delle Brigate Rosse, quando mi bloccai, rapito dai versi di una canzone.

Subito dopo il radiogiornale andava infatti in onda una trasmissione che si chiamava "Tre minuti con...". 
Una voce femminile, dolce e suadente, introduceva una canzone di uno degli artisti in voga a quel tempo.

Quel giorno, toccava ad un cantante con la voce profonda e la erre moscia.

Un cantante che non avevo mai sentito né conosciuto.

Un tono ed una cadenza mai ascoltati né nelle Canzonissime del sabato sera né, tanto meno, nei festival di Sanremo registrati di straforo col registratore a bobine "Geloso".

Mi rapì la melodia. Per niente sdolcinata, al contrario,  quasi matematicamente ripetitiva.
Mi colpirono le parole.  Non riuscii ad afferrarle completamente, ma mi entrarono dentro con la forza del bacio di un'adolescente.

Mi restarono impresse alcune frasi  che diventarono poi la base dell'ossessione della mia ricerca. 
Si, perché quella volta persi l'attimo in cui la dolce voce scandiva il nome del cantante.

La strofa che mi immobilizzò fu: "si è spenta la fontana, si è ossidata la campana, perché adesso ridi al gioco degli amanti?".

Una frase che, da sola, non voleva dire niente, ma che mi trasmise l'emozione profonda, il contrasto forte, fatto solo di immagini,  tra l'immobilità di un meccanismo rotto dal tempo e la vitalità di un gioco d'amore. 

Chi se ne intende, sa che quella canzone è "Un altro giorno è andato" e quella erre moscia è del suo autore, Francesco Guccini che, proprio oggi, compie 75 anni.

Tanti Auguri Francesco!

Da quel giorno hai accompagnato la maggior parte delle mie emozioni con la discrezione di un fratello maggiore che mi osserva da lontano.

Passò un po' di tempo, da quella assonnata mattina,  prima che scoprissi di chi fossero le parole e la voce che mi avevano colpito. Non mi potevano certo aiutare i miei genitori che, di cantautori, non sapevano nulla.

Lo capii un anno dopo, forse nel '75, e scoprii allora il suo nome e le sue, già allora, tante canzoni, grazie ad un compagno di seconda liceo che mi prestò la cassetta di "Radici". 

Da allora, per lungo tempo, fu per me il solo vero "ascolto". Di certo l'unico cantautore di cui, appena possibile, seguivo i concerti (a parte un tradimento per uno spettacolare Banana Republic nel '79 allo Stadio Bentegodi con Dalla, De Gregori, Rosalino).

l'ho visto in condizioni disperate, come nel 1976 (o 77), al Teatro Laboratorio, solo da fuori che dentro non ci si stava. Oppure nel 1977 (o 78) a Sant'Ambrogio, in un capannone diviso a metà per il lungo da un muraglione. Tra l'infastidito ed il divertito, lui giocava a nascondino con la metà del pubblico coperta dal muro, accompagnato solo dal suo fedele bottiglione di vino.

L'ho visto da fresco innamorato, nel 1980 a Nogara, in un concerto bellissimo in cui lui, che cominciava ad essere famoso, era accompagnato dalla band che lo ha seguito fino all'ultimo e giocava con un unico effetto speciale, illuminando da dietro il batterista, Ellade Bandini, mettendo in risalto con il fascio di luce, le sue orecchie a sventola.

L'ho ascoltato talmente tanto che anche mio fratello che all'inizio lo odiava, si è lasciato scoprire, anni dopo suo appassionato fan.

L'ho cantato talmente tanto che Enrico è cresciuto pensando che la doccia e "La Locomotiva" fossero due cose che dovevano durare lo stesso tempo.

L'ho seguito anche  con Luca,  nel suo penultimo concerto in quella che è stata la sua ultima performance completa dal vivo dato che, il giorno dopo a Bologna si è sentito male e non è riuscito a finire la sua solita canzone di chiusura.
Quel concerto, a Jesolo, nel novembre del 2011, l'ho registrato di straforo tutto (con la cinepresa, non con il "Geloso"...) e lo conservo come una delle cose più belle e preziose.

Fa effetto pensare a questi quarant'anni assieme a lui.

Sembrano tanti, e lo sono realmente, ma quello che mi ha regalato con le sue canzoni (non sono un amante dei suoi libri) vale ancora molto di più.