La mancanza di Enrico si avverte subito.
Senza i suoi movimenti a scatto, la sua sciarpetta cittadina,le sue sparate cosmiche su qualunque argomento ed i suoi “Vaccio…” affettuosamente rivolti al fratellino non più bambino, questa vacanza non è più la stessa.
Enrico può parlare di adolescenza ormai perduta o di derivati della Lehman Brothers, ma l’entusiasmo, il vigore, la luce negli occhi è sempre quella di quando era un bambino.
Con Luca ridiamo a crepapelle dei suoi messaggi vocali lasciati su whatsapp agli amici e alla morosa.
Si è chiuso fuori sul balcone, in maglietta con le maniche corte incurante del freddo (non gelido) di questa estate che di nome fa inverno.
Cinque minuti di sbrodolamento lessicale, in inglese e senza una pausa.
Senza un respiro.
Ci immaginiamo le risate di chi preme il triangolino per ascoltarlo.
Già dopo la prima frase avrà perso il segno sovrastando con il singhiozzo il resto del racconto.
Tre giorni assieme Enrico, Luca ed io sulla neve, anzi sull’erba dell’alta Val Badia, riposizionano magicamente il cursore su quella vivace armonia che si stabilisce fra noi tre e che non assaporavamo dai giorni dei iTreDonisiInAustralia.
Un’armonia fatta di equilibri instabili, sempre sull’orlo della risata tra di noi e della voglia di raccontare a chi ci manca quello che succede. I gruppi whatsapp aiutano anche in questo...
Oggi Enrico ci è mancato anche per le sue memorabili capacità di orientamento.
Io, dopo quindici anni di vacanze invernali in Val Badia, non distinguo la Ciampinoi dalla Dantercepies (sono due funivie).
Figuriamoci se riesco a tornare a La Villa, dove siamo ora, che è anche un po’ fuori dai percorsi più battuti.
Enrico invece, non so come fa, riesce sempre a capire a quale ennesima seggiovia di collegamento puntare e quale percorso, tortuoso a piacere, completare per tornare a casa.
Mi stupisce sempre, prevedendo senza indugi la giusta sequenza di risalite.
Un’invidia…
Poi, è vero, il primo giorno, la brusca calata del tramonto ci ha colto all’improvviso ed impedito di completare il giro costringendoci a chiamare un taxi. Ma è un piccolo svarione non legato al calcolo della traiettoria, ma a quello dei tempi.
Per fortuna però che Luca è la giusta via di mezzo tra la mia incapacità e la maestria di Enrico ed oggi è riuscito comunque nell’impresa di riportarmi a casa sano e salvo.
E, a proposito di sano e salvo, devo festeggiare un avvenimento straordinario: dopo anni di incidenti (sempre leggeri, ma comunque fastidiosi) quest’anno posso celebrare una assoluta assenza di cadute o danni di qualsiasi tipo.
Penso sia merito della prudenza che ho messo in atto ascoltando un po’ meglio i sensori di fatica posizionati sui muscoli delle cosce e delle ginocchia: una breve sosta quando la lancetta arriva sul rosso ed il controllo delle cunette sulla neve artificiale - al pomeriggio veramente in forma impresentabile - è diventato più preciso, completo e, finalmente, sicuro.
Per il soggiorno quest’anno niente albergo, ma un semplice monolocale in un enorme e nuovissimo chalet: lo Chalet Soredl a La Villa.
La padrona di casa ha il gusto degli addobbi natalizi e dei profumi aromatici. Il corrimano delle scale, ad esempio, è intervallato con enormi fiocchi di raso dorato e, su ogni appoggio della minuscola stanza, abbiamo trovato gingilli dal nordico sapore oltre a decine di cioccolatini di ogni tipo.
Devo dire che questa scelta e la libertà ad essa associata, non mi hanno fatto mai rimpiangere l’albergo, anche se lo spignattamento, le pulizie e tutto il resto sono prevalentemente a carico mio.
La desolazione, insolita e profonda, la lasciano invece queste montagne completamente verdi e prive di neve.
L’impacchettamento coi nastri bianchi delle piste è deprimente come un bel regalo incartato male.
La sensazione è che questa rivoluzione della natura abbia spento le consuete inclinazioni all’arroganza dei turisti invernali.
L’impressione è che siano tutti un po’ meno arrabbiati, un po’ più gentili, anche un po’ più silenziosi.
Nonostante la miriade di persone sulle piste (molte delle quali veri e propri pericoli pubblici) è come se stessimo tutti assieme espiando la colpa di aver contribuito a questo ormai innegabile dissesto climatico che sembra sconvolgere, molto prima delle previsioni, le nostre opulente abitudini.
Sarà perché i russi, solitamente i più cafoni, non sono ancora arrivati, ma, nei toni e negli atteggiamenti, di fronte a queste distese verdi attraversate da camminatori in maglietta estiva sembra di cogliere il senso di un pentimento che speriamo non sia troppo tardivo.
O forse sono solo pippe che mi faccio io, confondendo le stagioni nel decifrare i panorami.
Domani ho deciso che cammino. Non scio. Voglio lasciare immacolata la mia lista di cadute e percorrere in questo strano clima qualche sentiero disegnato per l’estate.
Voglio vedere se l’impressione sarà la stessa o se cambierò idea lontano dal fruscio delle lamine e dal rollio delle seggiovie.
Bellissimo
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