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Le mille mani di tempera bianca spalmate di recente, un po' alla bene e meglio quasi ovunque, non sono riuscite a cancellare la sua presenza discreta ed anche un po' nobile.
Nel lungo corridoio che si proietta sul rosso del tramonto verso la statua del Cristo Rei, le assi di parquet di pino lucidate di fresco, ma altrettanto di fresco inzaccherate dai resti della bianca tinteggiatura, sembrano scricchiolare sotto i passi preoccupati di chi vede la sua proprietà, forse frutto di anni di sacrifici, invasa da noi, ospiti stranieri proprietari solo di una app.
Pedro è il ragazzo che ci accoglie. Ha trasformato l'eredità della nonna in una redditizia attività di locazione turistica pubblicizzata su Airbnb. La sistemazione, al quinto e ultimo piano (senza ascensore) di un palazzo in Calçade de Arroios ci accoglie (senza riscaldamento, ma non per questo freddo nell'aspetto) con quell'aria un po' nostalgica ed affettuosa tipica, appunto, di una nonna.
Il senso di una presenza nobile ed un po' stantia, pervade non solo le stanze di questo grande ed affaticato appartamento, ma un po' tutta questa città.
La intuisci preziosa e regale, ma al tempo stesso aggrappata e decadente.
Il contrasto tra la sua luce accecante, riflessa in ogni angolo dal blu dell'Atlantico immenso di fronte e le croste dei palazzi dalle mille finestre chiuse, intenerisce l'animo predisponendo ad un senso di calma ed alla voglia di accettare che il tempo da vivere è tutto, e solo, ciò che importa.
Così, un po' "scialli" e senza fretta, abbiamo vissuto questi giorni in città, trascinando i nostri passi qua e là, senza un vero e proprio programma, senza l'assillo di una meta.
Turisti un po' cialtroni, un po' saggi, abbiamo preferito lasciarci guidare dalla Città stessa, senza confinarla, più di tanto, dentro ai cliché delle guide e dei consigli di chi sa...
Ed è così che Lisbona lascia scoprire, senza l'affanno di cercarli, i tesori che si sono rivelati per noi più preziosi.
La luce, ad esempio. L'ho già detto. Staglia nette le ombre sulle case colorate. Riscalda il viso che all'ombra patisce il vento dell'oceano. Accende di colori vivi gli azueljos, le piastrelle che ricoprono le facciate delle case più vecchie. Quando vince sulla nebbia che spesso sale dall'oceano, ricoprendo la città di un fumo denso che fa a gara con quello dei fornelli per le caldarroste, offre della città una visione cosi netta che di colpo ti sembra di aver recuperato una vista a dieci decimi.
I marciapiedi, che qui chiamano calçada. Trasudano la fatica di assemblare i milioni di cubetti di porfido, molto spesso bicolore e disposto a formare disegni geometrici. Ti chiedi, ogni volta che il passo ondeggia sul sobbalzo del mosaico, se sia valsa la pena di spender tanta energjs per la posa di queste pietre invece di una bella gettata di rude asfalto come avviene nei marciapiedi di tutto il resto del mondo.
La risposta arriva presto quando jl gioco di luce illumina le onde dei disegni regalandoti l'illusione di trovarti dentro un disegno di Escher.
I tram. Così normali che a Milano (dove sono altrettanto se non più belli) neanche li noteresti, ma talmente affaticati dalle salite che, alla fine ti impietosiscono. E allora ti senti spinti a fotografarli, come se questo gesto di attenzione potesse dare anche a loro la spinta giusta.
La cucina. Ci stupisce il modo in cui si costruisce su due o tre ingredienti una cucina da ricordare. A partire dal merluzzo, il bacalhau, servito in tanti modi e tutti buoni, ma pur sempre baccalà.
O i dolci che, anche lì, si gira e rigira attorno alle pastes de nata o poco più. Vengono venduti (e da noi apprezzati ) come specialità uniche al mondo.
Persino sullo scatolame, alici, sardine, tonno e sgombro, hanno saputo inventare brand e negozi che, alla fine, riescono ad attirare un sacco di gente contenta, come noi, di portarsi a casa un Rio Mare vestito a festa.
Poi, per chi, come noi, ha dedicato ai musei, monumenti e attrazioni ufficiali, un tributo limitato (il Museu Coleção Berardo, arte moderna, l'inavvicinabile il Castello di Sao Jeorge, l'Oceanario, Parque de Nacões) Lisbona è bella soprattutto per il suo equilibrio instabile tra una pulizia ed organizzazione da moderna città nord europea e l'aggrovigliato disordine dei suoi saliscendi affiancati da case spesso fatiscenti e con l'aria di essere lì, accatastate, in temporanea attesa di un posto migliore.
Bordeggiando su questo equilibrio, abbiamo così deciso di bilanciare il doveroso omaggio alle mete ufficiali (Belém, o il Convento del Carmo, una chiesa scoperchiata dal terribile terremoto del 1795 e rimasta così da allora) con il girovagare, più o meno a caso, con l'intento di inciampare in quakche opera di street art.
Siamo così finiti nella zona cosiddetta LX Factory, proprio sotto l'altissimo ponte 25 Aprile. Il vecchio insediamento industriale, riadattato per ospitare locali, negozi, esposizioni, offre un campionario di graffiti variopinto ed interessante, con alcuni disegni di artisti anche famosi come il napoletano Millo.
Raggihngere qualsiasi punto della città è davvero facile. Le linee della metro, disegnano un reticolo di fermate regolarmente distribuite. Il costo è davvero limitato (6.40 euro per 24h dal primo gennaio). Tra l'altro, con la carta VivaViagem ed il biglietto giornaliero puoi salire anche sui famosi tram (in particolare il 28 per andare al Castello ed il 15 per Belém) e sulle funicolari, sulle quali la sola andata costerebbe 3.60 euro....
Affittare un'auto, come abbiamo fatto noi per qualche giorno, è, in fin dei conti utile solo schivare le visite a chiese e cattedrali (alle quali sono notoriamente allergico) con la scusa di andare fuori porta per ammortizzarne almeno in parte la spesa del noleggio.
Volendo però, persino a Cabo de Roca, il punto più occidentale del continente, puoi arrivare con un autobus.
Infine, due parole sui ristoranti.
Come ho già detto, non siamo in presenza di una cucina dalle mille ricette. Più o meno la lista è quella, con in bacalhau, il choco (seppia) o il frango (pollo) sempre in prima linea.
Assenti del tutto i primi come noi li intendiamo, se vuoi partite "all'italiana" devi puntare sulle zuppe.
Detto questo, però, mangiare qui è sempre stata una esperienza entusiasmante proprio per la semplicità.
Accostamenti poco ricercati, ma decisi, molto spesso sottolineati dal coriandolo, hanno accompagnato le nostre cene fuori.
Che poi, ci siamo affezionati a due posti in particolare, qui vicino a casa nostra. Tutti e due poco turistici e molto portoghesi. Due locali con caratteristiche opposte. O Foguete, il primo. Ci siamo capitati per caso la prima sera che il posto consigliatoci da Pedro aveva la coda fino in strada.
Un posto molto piccolo, popolato di clienti abituali o di studenti squattrinati.
La prima volta ci hanno accomodato vicino ad una coppia. Pochi attimi e lei si dichiara italiana ed inizia a darci consigli con gentilezza.
Il cameriere, da solo, che ha tutta l'aria di essere anche il proprietario, sembra invece avere una vespa nei calzoni da tanto si agita, con fare un po' scortese, soprattutto con gli avventori del tavolo dietro al nostro. Manda a quel paese, per la verità sotto voce, uno di loro alle prese, con tanto di martelletto bianco, con le zampe di una gigantesca granseola.
Mangiamo però benissimo e per questo decidiamo di tornare.
Esperienza più da emozione invece da Mãe, che in portoghese vuol dire madre.
Un cameriere dolce e pieno di attenzioni ed una brigata di cucina, silenziosa ed organizzata, ma in bella vista, ci offrono le coccole di piatti tradizionali delle mamme, solo leggermente rivisitati.
Alle pareti, in piccole cornici, sono appese immagini in bianco e nero delle madri di quei clienti che hanno accettato di spedire una foto della mamma. L'idea di far girare tutto il locale attorno alla figura della mamma mi conquista al punto che spedisco anch'io, seduta stante, una foto della mia nella speranza di vederla raffigurata assieme alle altre.
Ultima segnalazione, invece, è per un ristorante fuori porta, a Sesimbra, un paesino sul mare a metà strada tra la contrada di pescatori e l'obbrobrio di mostri edilizi anni 70.
Al ristorante Casa Mateus abbiamo mangiato dell'ottimo pesce cotto con patate, pomodoro e coriandolo dentro la classica e spessa pentola di alluminio finendo il pranzo con un dolce delizioso (una crema brulee con granella di nocciola e sale marino per me, pera ripiena di cioccolato con gelato di vaniglia e cannella per Elisabetta).
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