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martedì 2 agosto 2016

Roma città persa

Roma città persa. 

Il gioco di parole con "Roma Città Aperta" evoca la condizione  che Roma si attribuì nell'agosto del '43 per evitare di essere distrutta dai combattimenti e dai bombardamenti degli Alleati che risalivano faticosamente la Penisola.

Una condizione disperata che, se riuscì a salvare i monumenti, colpì invece in modo drammatico i suoi abitanti che furono oggetto di deportazioni e rappresaglie rappresentate anche in film memorabili come quello omonimo di Rossellini. 

La disperazione che coglie oggi gli abitanti (ed i visitatori) di Roma è, per fortuna, profondamente diversa e nemmeno comparabile a quella provocata da una guerra così crudele. Ma, visto che siamo abituati bene, lascia un segno profondo.

E' più un senso di smarrimento che un dolore lacerante.


Ti perdi, senza scampo,  di fronte alla sua bellezza universalmente unica perché Roma
 è, sfido chiunque alla smentita, la più bella città del mondo. 
Il suo fascino irresistibile sprigionato dalle decine di ere sovrapposte ti avvolge per chilometri e chilometri.




Nessun insediamento urbano, per quanto irripetibile come Venezia (che btw è sempre Italia) o multietnico come Londra (che, btw, non è più Unione Europea) riesce ad ammaliarti così intensamente.


Roma è smarrita anche in se stessa.


Risucchiata verso un (speriamo non) irrecuperabile degrado che invade ogni androne, ogni marciapiede, ogni strada.

Che tu sia in un quartiere "nobile" come Prati, oppure nel centro storico, vicino al Teatro Marcello, così come in una prima periferia tipo la Nunziatella o nel nostalgico quartiere della Garbatella, le sue strade sono piste di tirassegno ai birilli umani che caracollano veloci sulle strisce pedonali, i suoi marciapiedi  depositi di volantini ammuffiti su strati di foglie secche, i suoi lampioni bacheche per svuota solai o rivenditori d'auto,  i suoi angoli spalle di appoggio per sacchi neri pieni di ogni tipo di rifiuto.

Sarà per il torpore, lacerato tra 
bellezza assoluta e rabbia per l'incuria, che anche la nostra giornata ha preso una piega di smarrimento fin dalle prime ore della mattina.

Il proposito di vivere una Roma diversa esplode dopo la classica visita alla meravigliosa fontana del Bernini a Piazza di Spagna, sopravvissuta all'idiozia degli invasori nordici così civili e bacchettoni a casa loro ed irrimediabilmente imbecilli a casa degli altri.


Una lunga passeggiata verso il Campidoglio sotto un sole africano ci ha fatto (per fortuna) inciampare a Palazzo Cipolla, in via del Corso, dove la mostra di Bansky (che le bufale di internet davano chiusa al lunedì) era invece invitantemente aperta e per niente affollata.


Abbiamo così potuto godere, in rilassata ammirazione, delle 150 opere del più famoso ed incognito Street Artist del momento. 


Originario di Bristol, ha girato mezzo mondo diffondendo con i suoi grafiti un solitario e purtroppo inascoltato messaggio di protesta contro le guerre e le sopraffazioni sui popoli (in particolare quello Palestinese).



La mostra ospita riproduzioni ed originali dei sui pezzi più famosi, salvati in questo modo dallo sgretolio del tempo a cui lui vorrebbe vederli condannati.












L'impronta di giornata alla caccia di una Roma diversa si è interrotta solamente con la sosta estasiata al cospetto della statua di Marco Aurelio al Campidoglio.

Peccato che sia solo una copia dell'originale, restaurata ed esposta ai Musei Capitolini, perché la luce del suo bronzo dà l'illusione di una riuscita rivoluzione di bellezza, liberata com'è dal verde delle ossidazioni con cui siamo abituati a vedere questo genere di statue.

Autentica e non certo restaurabile perché destinata a dissolversi lentamente è invece l'opera d'arte "Triumph & Laments" di William Kentridge (www.triumphandlaments.com).


Un interminabile graffito di sagome gigantesche che accompagna la sponda del Tevere da Ponte Sisto a Ponte Mazzini.

I disegni sono ottenuti ripulendo le pietre degli argini "ricalcando" le forme con la tecnica degli stencil (noi diremmo stampino, più formalmente normografo).

Lungo i circa 500 metri, figure evocative raccontano le gioie ed i dolori di questa città: dalla lupa dei Gemelli alla tragedia di Aldo Moro passando per il bacio tra Marcello (Mastroianni) ed Anita (Edberg).







Anche il pranzo ha voluto essere un po' diverso. 

Stremati dal caldo e dalla fatica abbiamo goduto dell'ombra di un cortile per assaggiare  dei saltimbocca (senza infamia e senza lode) in una trattoria in Piazza della Moretta.

Da lì, con un taxi, ci siamo immersi nella zona periferica e non certo nobile di Tor Marancia, dove, sulle facciate delle case di un isolato ICP (Istituto Case Popolari, all'epoca non era ancora Autonomo) voluto da De Gasperi nel '48 per salvare dal degrado una zona denominata Shangai a  causa delle putrescenze liquide in cui versava, una quindicina di street artist hanno lasciato un segno di bellezza che risolleva di speranza una zona che le speranze le aveva ormai perdute.


Il progetto, dall'altisonante nome "Big City Life" (www.bigcitylife.it), espone a cielo aperto una quindicina di opere d'arte orgogliosamente adottate ed accudite dagli abitanti del quartiere.

(Non posso negare di aver pensato all'isolato di Via Papa, a Milano, dove spero tra non molto muoverò i miei bagagli da "commuter").






Non contenti di questa immersione abbiamo vagato, persi come la città stessa, alla ricerca della giusta direzione di un autobus che doveva portarci in centro, ma ci ha invece fatto aspettare più di quaranta minuti sotto una pioggia "vietnamita" nel periferico quartiere della Nunziatella.


L'occasione è stata buona però per perderci poi, di nuovo, nel fascino popolare della Garbatella, teatro all'aperto così caro agli sceneggiatori televisivi, affascinante per la sua architettura intrisa di retorica del Ventennio.


Le sue case, con le officine ed le trattorie negli scivoli che portano agli interrati studiati dai gerarchi architetti come ricoveri da dopolavoro, contrastano nel loro neorealismo con le violenze di protesta più sinistroide sui muri dell'adiacente Via dell'Armatore.

















L'ennesima deviazione sbagliata (e, quando sbagli mentre cammini dopo ore l'errore pesa il triplo) ci porta in una zona, se possibile, ancor più degradata, verso la circonvallazione ostiense. Il richiamo agli Argonauti (questa è la zona) si stampa sui muri delle case qui attorno con grafiti degni di qualche foto.


Distrutti, ma persi nel piacere di questa Roma un po' diversa, abbiamo festeggiato poi la grande performance nel "piccolo"  ultimo esame dato oggi da  Luca, stramangiando alla Romana tradizionale alla Sagra del Vino (Via Marziale) meglio nota come "da Candido" l'oste che, assieme al figlio, presentano, ruvidi e declamanti, un menù da trigliceridi come una medicina toccasana.








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