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venerdì 29 maggio 2015

A peso d'oro

Cinque zucchine piccole (e non fresche), tre pesche (con le botte che scopri solo dopo), un melone (un po' troppo maturo): 17 euro.



Basta pesare il cesto intero di zucchine, inserirlo nel conto e poi dartene solo cinque ed il gioco, anzi la mini-truffa è fatta.

E' quello che, in buona fede o no non mi interessa, mi è successo a "L'orto di casa tua", in Via Ponte Vetero a Milano. 



Non ho voglia di questionare direttamente, ed opto per una vendetta "social". Fotografo il negozio e lo posto su Istagram, Facebook e Twitter, impestandolo di tag squalificanti, come #ladriamilano o #negozidaevitare. Magari prima o poi qualcuno casca dentro l'hashtag e legge, così evita di andarci. Io, di sicuro, non ci torno più. 

Ad ogni modo, per cancellare la delusione - ché rabbia non è stata - del poco fortunato incontro con l'orefice travestito da fruttivendolo e per riconciliarmi con il bello di Milano, che non ho voglia di passare per un vecchio brontolone, ho deciso di avventurarmi verso Piazza Duomo dove si tiene il concertone gratuito di Radio Italia. 

Una folla di ragazze e di ragazzi in t-shirt e brachette corte, si snoda fino all'inizio della Galleria, quasi in Piazza Scala, popolata invece da un parterre di abiti lunghi e smoking in pausa fumo. 

Quando arrivo nei pressi di Piazza Duomo, i maxi schermi trasmettono le frizzanti immagini di Cesare Cremonini che canta travolgente il suo amore per il finale. 
Cerco il cornetto Algida nelle mani dei ragazzi vicino a me, ma trovo solo miriadi di smartphone che registrano, ondeggiando al ritmo giusto, le note di questo tormentone estivo. 



È bello sentire l'eco poderosa di questi ragazzi così felici, quando il cantante rivolge loro il microfono lasciandoli urlare le strofe finali. 
L'aria è calda e profumata (non vorrei fare di ogni erba un fascio, ma...) e mi lascio andare anch'io al fragoroso applauso alla fine della canzone. 

Quando arriva l'ultima cantante, Gianna Nannini, il pubblico esplode. 
La sua cover di "Lontano dagli occhi", elettrizza l'atmosfera colorando di moderno i colori un po' polaroid anzi, grigi e tristi, del Sergio Endrigo originale (1969...)
Al ritornello, le mille voci giovanili quasi coprono i diecimila watt dell'impianto di amplificazione.

Un effetto coinvolgente.

Mi fa sorridere il contrasto con l'immagine dell'introversa sfiga che il povero Endrigo  impersonava anche all'apice del suo successo. 
Ma, probabilmente, qui nessuno lo conosce e non lo sa, mentre tutti sanno le parole e le urlano gioiosi a squarciagola.



Un po' diversa la reazione alla canzone successiva.


Ancor più vecchia (1967) e di un cantautore che, magari non chiamava sfiga, ma non era di sicuro un beniamino da rotocalco.
La canzone è "Dio è morto", l'autore, il "mio" Francesco Guccini.

A me non piace sentirlo cantato da altri. Nemmeno cantato dai Nomadi riuscivo ad ascoltarlo. 

Sopporto quindi in silenzio lo scempio di questa canzone che poi non mi piace neanche tanto (forse perché era contenuta nei libretti appoggiati sui banchi della chiesa ai tempi delle messe beat negli anni '70).

Non è un gran successo neanche tra il pubblico. La reazione al ritornello non è di sostegno come prima. Anzi. In pochi urlano qualcosa che, più che Dio è morto, mi sembra proprio qualcos'altro. Anzi, non sembra, lo è.

Mi viene in mente il racconto di qualche amico che mi diceva che al giuramento, al momento di gridare "lo giuro", il vero ribelle dichiarava invece, urlando, tutta la sua virilità.

Uno sketch che mi riconcilia col melone un po' andato e le pesche tutte ammaccate del mio #perdutopersempreexamicoorefice.





martedì 19 maggio 2015

A vent'anni si è stupidi davvero

Come spesso accade, quando veleggi tra ricordi lontani, i colori, i sapori, le emozioni sembrano più nitidi, forti, taglienti.

Era così quella domenica in settembre del '77, quando avevo (meno di) vent'anni ed ero stupido davvero. 

Un pomeriggio caldissimo, ma limpido. 

Nell'aria tersa, solo gli ultimi cazzeggi in compagnia prima della ripresa della scuola. Risate profonde, quasi sguaiate e dovute solo e soltanto alla  capacità del gruppo di sparare puttanate senza ritegno. 
Non ci serviva niente di più, anche se, è triste dirlo, quell'erba ci cresceva tutt'attorno e l'eroina uccideva (Verona era chiamata all'epoca la Bangkok d'Italia e non certo per le massaggiatrici).

Qualche sera prima avevo passato la notte all'aperto a caccia di stelle nella mia Lessinia,  con un amico, il Miche ed i nostri telescopi (quasi) giocattolo
Dall'esperienza (che non fu l'ultima) non avevamo tratto alcun risultato: le stelle erano troppo veloci per i nostri traballanti aggeggi incapaci di fermarle.    

Mi era rimasto però, in dote temporanea, il parabrezza del suo vespone che avevamo tolto per consumare meno benzina (dei soldi in tasca niente e tu lo sai...).
Era uno di quei parabrezza con la sottana di tela cerata ed il buco da infilare nel fanale.
Glielo dovevo riconsegnare quel pomeriggio, ma, prima di incontrarmi con lui avevo deciso di passare da casa di Bicio, nella cui veranda - in realtà il balcone di una villetta a piano terra - faceva base il nucleo storico della nostra compagnia.

Quel giorno ci spostammo insolitamente, non ricordo bene il perché, nel giardino della casa di Luca, un altro amico che abitava lì poco distante.
Complici il caldo e l'abbaglio dei colori di quella giornata così limpida (che noi non l'avremmo fatto mai) partì, così, senza motivo, uno sketch.

Per togliermi dall'impaccio di quel parabrezza me lo infilai dalla testa per il foro del fanale indossandolo come un mantello.
Non contento, iniziai a farlo svolazzare leggiadro correndo avanti e indietro con la Vespa sul vialone lì di fronte.

Da quella stravagante cavalcata alle farneticazioni su un supereroe casareccio, battezzato prontamente "Vendicatore Mascherato", il passo fu brevissimo.

Dieci minuti dopo eravamo di fronte ad una cinepresa 8mm, prontamente recuperata, a girare una fiction di cappa e spada incentrata sulla comparsa finale della figura del "Vendicatore Mascherato". 

Fortuna volle che, al momento di consegnare la pellicola per lo sviluppo, la cinepresa risultasse completamente vuota.

Fu una fortuna perché, dalla serie di improperi ed insulti che dovetti giustamente subire da quegli amici che avevano così faticosamente interpretato scene mai registrate, nacque la determinazione a fare più seriamente ed a progettare a tavolino una serie di riprese che ci videro poi impegnati, per mille e diversi motivi, fino alla fine dell'anno successivo. 

Fu cos' che nacque il film CASABLANCA (non chiedetemi il perché del titolo che non lo so. Forse un misto tra il riferimento alla tenebrosità di Humphrey Bogart e lo scherno dell'ambiguità richiamata dalle cliniche della città marocchina).

La trama si sviluppa sul finire degli anni '20 nei sobborghi degradati e fumosi di una Chicago dominata da gangster e bande rivali. 

La mancanza di mezzi limitò il richiamo di quell'epoca al fumo di mille sigarette e ai vestiti delle ragazze, dato che i nostri costumi erano semplicemente gli abiti, troppo larghi, dei nostri padri ed il Ciao di Icio e il Garelli di Luciano, unici mezzi motorizzati che faranno la comparsa nel film, non erano nemmeno una brutta copia delle lussuose automobili americane di Al Capone.

Per non parlare delle location in cui girammo le scene che di Chicago avevano giusto il niente.

Al di sopra di tutti avevamo messo lui, il Vendicatore Mascherato. Un personaggio misterioso decisore di vita e morte delle bande e che, in realtà, comparendo saltuariamente e mascherato, poteva essere interpretato da controfigure permettendo a me di fare il regista (ovvero l'operatore cinematografico) senza bisogno di recitare (che sarei stato comunque un cane, come testimoniano le poche scene finali in cui compaio nelle vesti del super eroe). 

La prima entrata del Vendicatore Mascherato (interpretato da Bicio, invidiato proprietario di un paio di stivaletti di camoscio che avrebbero caratterizzato la comparsa del super eroe) prende forma nel buio e fumoso locale (la mansarda di Franco) gestito da Riccardo, nella parte di un croupier e Claudia, sensuale entreneuse.

E' lì che sono radunate le due bande rivali: quella dei ricchi (Bicio, il boss e poi Carla, Marina, Luca, Roberto, Gavino) e  quella dei poveri (Franco, il capo e poi Lucia, Andrea, Icio, Luciano). 
Il tentativo del Vendicatore Mascherato di riportare la pace in città dividendola in due zone, naufraga praticamente subito quando, durante i festeggiamenti per l'accordo, una bellissima Lucia che interpreta la donna di Franco circuisce e conquista il tenebroso e crudele Bicio che la segue del tutto insensibile alle lacrime della sua ormai ex-donna, una affascinante Carla.

Dallo sgarro, consumato davanti agli occhi di tutti, nascono una serie di rapimenti e vendette spesso girati con tecniche sopraffine e futuristiche per l'epoca, come lo stop motion che accompagna il trasferimento di Roberto e Gavino, catturati da Icio e Luciano,  nel covo della banda di Franco (il garage di Luca).

L'escalation di agguati e pestaggi non risparmia neppure innocenti minorenni - magistralmente interpretati dai cuginetti Matteo e Giovanni nella veste di figli di Franco - ma viene definitivamente arrestata dall'apparizione finale del vero Vendicatore Mascherato che, accompagnato da un fedele servitore turco (o presunto tale)interpretato da Sergio, fratello maggiore di Franco, ammazza tutti senza perdono con un tocco di fioretto.

Vi chiederete il perché di tanto sproloquio.

Ebbene, fino a pochi mesi fa, la magistrale opera prima era data perduta per sempre. Anche il riversamento su cassetta VHS delle originali bobine super 8 era irrimediabilmente scomparso passando di mano in mano.
Poi, un paio di mesi fa, in una insolita reentré a cena con Gavino, Icio, Luciano, Roberto e Franco, quest'ultimo salta fuori dicendo che, sgomberando la cantina della nonna, è emerso dalla polvere un sacchetto di nylon bianco contenente le bobine originali!

Il boato di sorpresa e soddisfazione che ha accompagnato la rilevazione ha pietrificato istantaneamente le persone presenti in sala, proprio come accade in certe pubblicità.

Tempo poche settimane ed il film era di nuovo tra noi su un DVD, in formato mp4.

A partire da questo ho velocemente portato a termine un montaggio con musiche di fondo adeguate all'atmosfera e miseri cartelli esplicativi dato che, ovviamente, il film era muto.

Ora, tutto questo pistolotto per dire che, il 20 giugno 2015 prenderà forma un happening basata su una roboante PRIMA VISIONE ASSOLUTA!

Invitate/i, tutte le attrici e gli attori dell'epoca, qualche amico  ma, soprattutto, se ci sono, figli e figlie, in modo che si rendano conto di quanto si possa essere stupidi davvero, ma divertirsi alla sola presenza (o assenza che tanto fu lo stesso) di una pellicola per cinepresa.

Ovviamente, se sopravvissuti alla spiega e interessati alla cosa, siete invitati anche voi che leggete purché rispettiate le condizioni inserite nell'invito allegato e comunichiate la partecipazione all'indirizzo e-mail dell'Associazione Culturale organizzatrice "Questa Casa non è un Albergo!" (thishomeisnotanhotel@gmail.com).

P.S.: le molte citazioni, a partire dal titolo, di una famosa canzone, settembrina come la genesi del film, sono dedicate a chi le può capire.


La Locandina del Film

Invito