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giovedì 25 ottobre 2018

Cane e gatto

Nell'immaginario comune, "cane e gatto" è sinonimo di discordia, disprezzo reciproco, in un certo senso anche di prevaricazione della forza fisica sull'astuzia così come, per contrappasso, di sfacciata irriverenza dell'anarchico contro il fedele e sottomesso servitore.

Insomma una serie di letture prevalentemente negative.

In genere però, l'espressione si usa per situazioni in cui si sottintende una sorta di familiarità tra le due parti. 
Si dice che sono cane e gatto, ad esempio, un fratello ed una sorella (quante volte me lo sono sentito dire da bambino...) oppure un marito ed una moglie, oppure due colleghi che condividono gli spazi lavorativi litigando per ogni cosa, ma, in fondo in fondo si stimano e, in alcuni casi, si vogliono anche bene.

E' difficile sentirlo riferito a persone che sono distanti, non solo nel carattere, ma anche nella posizione sociale, né tanto meno, nelle idee politiche.
In quel caso si usano termini meno bucolici, come nemico, avversario, oppositore.

"Cane e gatto" è quindi, in fin dei conti, un'espressione che richiama sì una tensione, ma in un contesto che possiamo provare a chiamare affettuoso.

Il perché di questo sproloquio iniziale è presto detto.

Non voglio parlare di fratelli e sorelle (e neanche di mariti e mogli).
Non voglio parlare nemmeno di politici (che in quel caso il solo pensiero del nemico è ispiratore di istinti rivoluzionari e violenti).

Voglio parlare di "cane e gatto" per davvero e raccontare di una storia piena di affetto.

Dunque, Asia, il nostro golden retriever (12 anni il 4 ottobre u.s.) è solita passare le sue giornate nel piccolo giardino di casa, lavorando duramente come cane da guardia (!).
La sua interpretazione di difesa del territorio e quindi il suo comportamento "lavorativo" consistono nel lasciar scorrere il tempo comodamente sdraiata in un paio di postazioni. 
Fin da cucciola sempre quelle. Tutte e due in posizioni defilate.
La prima, ben nascosta sotto il tavolo nel piccolo porticato davanti alla porta. 
La seconda ancora più occultata in un buco nel terreno che lei stessa ha scavato sotto la siepe di pitoforo.

Da entrambe le posizioni  si guarda bene dallo scomporsi se passa qualcuno, a meno che non si tratti di chi (fosse anche un ladro) la chiama per farle le coccole.
Diciamo che la sua interpretazione della mission lavorativa (sto scherzando...) è un po', per così dire,  alla buona.

In due casi però il suo istinto si rivela per quel che dovrebbe essere: un cane che insegue ed abbaia.
Il primo caso non lo dico, perché non gliel'ho insegnato io e non è così politically correct, anche se farebbe molto piacere ai tanti razzisti che vanno di moda purtroppo in questi tempi.

Il secondo caso invece è più normale, anzi è proprio ... il caso del gatto.

Capita spesso, infatti che, sentendoci arrivare dal fondo del vialetto pedonale che conduce a casa nostra, invece di trovarla bellamente addormentata in una delle due "location" di cui sopra, la sentiamo correre verso il cancello, a volte pure abbaiando, preceduta dalla nuvola di peli di un gatto che, proprio come un cartone animato, scappa terrorizzato inseguito dal suo nemico numero uno.

A dire il vero, più di una volta abbiamo avuto la sensazione che fosse solo una messinscena per darci la soddisfazione e sentirsi rivolgere un apprezzamento per il lavoro ben fatto. 
D'altronde, l'addestramento quasi comico del "Ciàpa el gato!" che le urlo ogni tanto per vederla schizzare alla rincorsa di un gatto inesistente, a qualcosa servirà pure!

Resta il fatto però che, fino a pochi giorni fa, quelli che ho detto erano una serie di punti fermi: i nascondigli, sempre quelli, quella cosa che non mi piace dire ed il gatto che esce di corsa dal cancello  (quasi sempre un gatto nero con la coda mozzata da una battaglia tra gatti).

Bene, sono ormai due settimane però che due di queste certezze sono venute meno: Asia non si nasconde più nelle sue "tane" ed il gatto, quello nero a coda mozza, non scappa più dal nostro giardino.

Quello che succede invece è che Asia passa le sue giornate accovacciata davanti al cancello, senza più scomporsi nemmeno davanti alle coccole di chi passa.
Abituati a vederla stiracchiarsi uscendo assonnata dai suoi nascondigli o a scodinzolare a chiunque la sfiorasse, trovarla sempre immobile sulla soglia del cancello, un po' vigile, un po' abbattuta in un atteggiamento così insolito e di attesa, ci è sembrato davvero strano.






Quello che è successo (l'abbiamo scoperto parlando con un vicino) è che il gatto nero a coda mozza ha fatto la fine di tutti i ricci che attraversano la strada e lei è li che lo aspetta, inutilmente, probabilmente per giocarci fino al nostro ritorno e poterci proporre la sua recita da "cane e gatto".

Peccato che questo spettacolo sia sospeso, forse per sempre.

Ma il suo dolcissimo atteggiamento di attesa è la prova provata che, almeno per gli animali, il concetto di "cane e gatto" è più intriso di affetto che inimicizia.